15 novembre, 2013

I Growlers e la lunga tradizione del liscio californiano.

[I Growlers, almeno in apparenza, sono un simpatico quintetto di disagiati californiani che suona un genere da loro denominato "Beach Goth" – etichetta di cui si è poi appropriato Dirty Beaches, ma questa è un'altra storia – di cui ho già parlato un sacco di volte. Ieri sera, per me, grande agnizione]

Ladies and Gentlemen, A Night with The Growlers

C'è una forte discrepanza tra l'atmosfera dei dischi dei Growlers e il loro live. Perché, una volta conosciuti di persona, non sono né simpatici, né (almeno ieri sera) disagiati, al contrario di quanto raccontato dalla maggior parte dei cronisti che li ha seguiti on the road negli Stati Uniti. Ma a Legnano pioveva, non bisogna per forza sempre diventare amici e una sera in cui ti girano capita a tutti. Che capiti a 7 persone contemporaneamente non è così statisticamente usuale, ma si sa, quando si sta a contatto per molto tempo i corpi entrano in sintonia, e quindi, probabilmente, anche il loro ciclo si è sincronizzato. Diciamo che, comunque, ricevere una risposta da avvocato immobiliare da uno a cui ho detto di non preoccuparsi di sparecchiare perché potevo farlo io non mi è mai capitato, ecco.

Quando arriviamo alla venue si sta già consumando un dramma: il tizio del gruppo di supporto (i Tomorrow Tulips, coppia di spanati biondi con una caschetto di capelli tagliato con l'accetta) ha perso il basso a Roma. Sì, ha perso il basso. A Roma. Il bassista di Growlers lo percula dicendogli che non gli farà usare il suo. Il tour manager sta cercando su quello che credo sia il Grindr dei bassisti qualcuno in zona che possa prestare uno strumento. Kyle Straka, nel frattempo, accorda la chitarra mentre, armato di spazzolino, si lava i denti a secco sul palco. Non abbiamo ancora cenato. Sarà la scena più rock'n'roll di tutta la serata, almeno per quanto riguarda chi deve suonare.

I Growlers al soundcheck, lo spazzolino purtroppo non si vede.

Dal vivo, il quintetto di Costa Mesa è anni luce distante da ciò che chiunque si aspetta. O forse no. Vibes, acidi, perdizione: niente di tutto ciò. Sul palco ci sono 5 persone che suonano praticamente la stessa cosa per un'ora e un quarto, la collocazione temporale della scrittura dei brani nella loro carriera è facilmente individuabile dai BPM in caduta libera. Nessuno si muove, se non Brooks Nielsen, il cantante. L'impressione che si ha è quella di un'orchestrina di liscio, con la chitarra riverberata al posto della fisarmonica – a questo punto avrei voluto poter scrivere "e testi che parlano di droghe e zozzerie", ma il quarto verso dall'inizio di 'Hung at Heart' è "One day you're gonna be my wife", quindi non ci siamo neanche più in quello –.

Diciamo che l'impressione generale più che questa


è stata questa



Davanti all'ennesima linea di basso pam pa-pa pam accompagnata dal tremolio della Farfisa ho veramente iniziato a farmi alcune domande su quello che stavo vedendo e ascoltando, e se davvero tutto questo che a noi europei suona tanto psych e alternativo non sia realmente, invece, ciò che in California viene suonato alle sagre di paese. So che può apparire grottesco, e probabilmente aver attraversato un Luna Park in macchina prima di arrivare potrebbe aver aumentato la suggestione, ma il Surf, soprattutto a Orange County, è un genere fortemente storicizzato, e quanto di più vicino a quello che descriverei come Liscio Californiano se mi venisse chiesto a bruciapelo di definirlo.

Non c'è veramente nulla per épater le bourgeois in quello che fanno i Growlers, anzi, è tutto molto prevedibile. I vestiti sporchi, il Barbour allacciato, i capelli inaffrontabili, lo scazzo totale, le mossettine, le storie cantate, l'uso delle droghe. Non c'è niente di psichedelico, nessuna ricerca sul genere (come fanno, invece, gli Allah-Las, che ieri sera tante volte sono comparsi nella mia mente – io che speravo in una loro growlerizzazione, ho invece assistito a una gratuita allah-lasizzazione dei Growlers). Per loro è così, e, probabilmente, non saprebbero neanche spiegarne il motivo.

In un reportage letto stamattina, più volte il cronista li definisce "alieni". Beh, nessuna definizione potrebbe essere più adeguata.

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NOTA:
Nella prima stesura di questo post sono arrivata a citare "Il mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer. Quando mi sono accorta che forse era un po' troppo, ho messo su il vinile verde trasparente che mi sono fieramente accaparrata ieri, nonostante il delirio (l'EP 'Not. Pshyc!' appena uscito), e ho capito una cosa. I Growlers sono l'esatta incarnazione dello stereotipo dell'hipster declinato con quell'accezione negativa che tanto mi incattivisce – dall'atteggiamento all'immaginario, alle scelte estetiche adottate–. Ma quando non c'è nessun altro in mezzo (ciao Dan Auerbach!), e parte il jangle delle loro chitarre, chissenefrega. La California che sogno è proprio quella. Ascoltare per credere.



Last but not least: grazie a Simone Castello per avermi portata con sé.