06 novembre, 2012

Ma si' nato in Italy!

[Ebbene sì, ho una nuova cosa da segnarmi, dopo mesi...]

Chi mi conosce sa che ci sono dei punti fermi di avversione, nella mia vita. I più famosi sono il colore azzurro, gli Impressionisti, e il cantato femminile. Mentre ai primi due non c'è possibile rimedio, per le voci femminili qualche sparuta eccezione c'è (Carole King, per esempio, e... mmhh... ok, Carole King).

Un'altra cosa che, senza reale motivo apparente, non riesce a catturare la mia attenzione è la musica italiana.

Bene, siamo tutti a conoscenza del fatto che i Maya stiano subdolamente disseminando indizi riguardo l'imminente fine del mondo, e io non posso essere in nessun modo sottrarmi al loro piano distruttivo.

HO SCOPERTO I DUMBO GETS MAD.



A meno di non conoscerne a priori la biografia, è impossibile immaginare che tutto ciò sia frutto di un duo di Reggio Emilia di base da qualche tempo a Los Angeles: Lucas Dumbini, che scrive, e Carlotta Menozzi che ci mette le corde vocali.

Una psichedelia che fonda le sue radici negli anni '60, in bilico tra le atmosfere sci-fi e la rivoluzione hippie, e che ricorda quegli esperimenti di Mad Music Inc. figli del decennio successivo.

Il loro primo disco, Elephants at the Door, del 2011 è in download gratuito, basta "pagare" con un tweet o una condivisione su Facebook.
Il secondo, che conterrà "Radical Leap", è previsto per gennaio 2013.

08 agosto, 2012

Robba bbella, robba bbuona #2 - Barbosi e barbuti edition

Dopo aver finito il post di ieri sera mi sono resa conto di aver escluso una buona fetta di ascolti – sebbene più conosciuti e prevedibili – dalla playlist-strenna, solo per questioni di genere.

È doveroso il mio rimediare, con questa edizione speciale di barbuti e barbosi.

Poor Moon


Grizzly Bear


Field Report

King Dude


So long, my friends.

07 agosto, 2012

Robba bbella, robba bbuona - Un disco per l'estate edition

Agosto è un po' come Natale, ovvero un florilegio di pezzi nuovi in streaming e/o download ovunque, per evitare la damnatio memoriae del bagnasciuga.

Anche io vi saluto, con la mia seleçao appena sfornata, che risuonerà prepotente sulle colline pisane, rigorosamente psichedelica, con qualche punta però di garage, come si confà alle serate toscane.

Moon Duo


Woods


Wavves


Allah-Las


Six Organs of Admittance


BONUS TRACK:

Gli Allah-Las sono un gruppi di simpatici rimastoni californiani, che usciranno con il disco d'esordio a metà settembre.
Spencer, il loro frontman, ci regala per l'estate un lungo mix strumentale. Sognando La California, quella in provincia di Livorno.

22 luglio, 2012

Blindsided

Ci sono innamoramenti musicali di cui ricordo ogni singolo attimo, compresa la prima volta che alle mie orecchie è giunta la canzone che li ha fatti nascere, o la pagina che mi ha spinto all'ascolto.
Mi ricordo la prima volta che ho visto Damon Albarn sulle pagine di Tutto Musica e Spettacolo, e il mio andare a comprare The Great Escape il giorno dopo.
Mi ricordo la prima volta che "Lost Coastlines" è passata su MTV Brand:New, e lo sguardo di Will Sheff dalla televisione di cartone che portava sulle spalle (e anche un po' gli occhi azzurri di Jonathan Meiburg).
Mi ricordo la curiosità incredibile di sentire Grace, dopo che Isabella Santacroce aveva riempito di Jeff Buckley ogni pagina di Destroy.

Come sia nata la mia passione per Bon Iver, invece, non lo so proprio. Ho cercato negli ultimi giorni di rivivere nella mia mente il momento del primo ascolto di For Emma, Forever Ago, quattro lunghi anni fa, ma in nessun modo sono riuscita a ricostruire quell'occasione, né ciò che mi abbia portato ad essa.
Ci ho pensato a lungo, dopo il concerto di giovedì al Motovelodromo di Ferrara.

Ho un rapporto travagliato con Justin Vernon (e la sua creatura musicale), tanto che l'unico termine per descriverlo che riesco a trovare è il poco signorile PARACULO.
Paraculo, perché For Emma, Forever Ago è un disco talmente bello che inventarsi tutta la storiella della capanna nel Wisconsin per creare hype era totalmente inutile.
Paraculo, perché smentire la storiella della capanna nel Wisconsin per creare hype intorno a Bon Iver, Bon Iver (che invece di bisogno ne aveva, eccome) è stata la mossa tipica del "fossifigo".
Paraculo, nelle sue scarpette da ginnastica e i video di work-out, ma sempre con il doppio mento contrito e le basette da Camillo Benso.

Paraculo ma con coerenza, Justin Vernon, tanto che potrei usare ogni parola della recensione che scrissi per Bon Iver, Bon Iver per il concerto ferrarese.

Piacione, nell'incoraggiare il pubblico al sing-along, nel dedicare uno dei pezzi più emozionali del set a un'amica lontana da tempo, e nel chiudere con una versione di "For Emma" degna di un gioco aperitivo sulla spiaggia di Varadero – mosse da sorriso compiaciuto che comunque non sono bastate a togliere dal set la patina di asetticità e distanza dei 9 elementi sul palco, perfetta incarnazione dell'indie da Grammy abituato ormai ai grandi pubblici.

Lo aspetto al varco, il caro Vernon, il prossimo 30 Ottobre qui a Milano, tra le quattro mura di un club, quando ormai sarà troppo fresco per una canottiera sdrucita. Per sentire la grande assente della serata, "Flume", come tutti sogniamo da sempre, quando ormai non sarà più la prima volta, per nessuno.

BONUS TRACK:
No, niente da ascoltare o guardare, ma qualcosa da leggere:


Un colpo di genio anonimo, che il nostro ha in questo modo commentato

20 giugno, 2012

Heroes and Villains

Cose belle che succedono, e stavolta in coppia.

La prima, è che oggi il genio di Brian Wilson festeggia Settant'anni su questo pianeta.

La seconda è che lunedì sono uscite le riedizioni della discografia di Van Dyke Parks (che, peraltro, ieri sera ha suonato a Milano, senza avermi tra il pubblico, con mio sommo dispiacere; ma che aspetto impaziente di sentire all'End of the Road).

Insieme, questi due signori hanno dato vita a uno dei pezzi migliori della storia della musica.

Ve lo offro in due versioni:

quella "ufficiale", dei Beach Boys, presente in SMiLE



E quella "unplugged", offerta da uno degli artisti più incompresi e sottovalutati di sempre.

19 giugno, 2012

Pianoforte a quattromani*

Non sono musicalmente una grandissima fan dei Sigur Rós, lo ammetto, ma lo sono dei loro video, fin dalle prime collaborazioni con Floria Sigismondi.

In occasione della pubblicazione del nuovo disco, Valtari, la band islandese ha portato la propria attenzione per la parte visiva a un livello ulteriore, affidando ciascuna delle 12 canzoni presenti nell'album a un artista (tra cui anche Ragnar Kjartansson) o un videomaker.

Proprio ieri ha visto la luce le terza creatura di questo esperimento, diretta da Alma Har'el. Un'incredibile composizione di lirismo e psichedelia, danza contemporanea e violenza, sospensione, sensualità, apnea.




(Sì, c'è anche Shia LaBoeuf nudo, ma credo proprio che quella sia la cosa meno rilevante).

* che poi altro non è che la traduzione del titolo del brano.

18 giugno, 2012

Festivalgoers #1: No Direction Home 2012

[A questo punto, parte la nuova rubrica: Festivalgoers, perché noi vediamo gente e facciamo cose. Insomma, ciò che (forse) non leggerete mai nei report che scriviamo per testate (quasi) serie per cui collaboriamo, il tutto corredato di fotografie].

Giugno 2012, primo festival dell'anno. Prima edizione del No Direction Home, costola adamitica dell'ormai stranoto End of The Road. Location scelta: Welbeck Abbey, nel cuore della Foresta di Sherwood (sì esatto, Robin Hood, Little John e tutte quelle cose), posto tanto bello quanto irraggiungibile per chi viene da fuori UK – una cosa come aereo Malpensa-Luton, treno Luton-Leicester Leicester-Sheffield Sheffield-Retford, navetta Stazione di Retford-Festival site, andata e ritorno. Ma noi, ormai, siamo dei Pro del viaggio della speranza.

Una cosa, invece, su cui abbiamo tutto da imparare è la quantità media di precipitazioni a inizio giugno nelle Midlands, e i suoi devastanti effetti sull'ambiente: tre giorni di fango, con andamento parabolico grazie alla pioggia del sabato mattina e al sole della domenica. Inutile raccontare la fatale scottatura da meriggiare pallidi e assorti dell'ultimo giorno, no?


Viaggio, montaggio, campeggio e vagabondaggio ci fanno varcare la soglia dell'area concerti-ristoro-sollazzo alle 19 di Venerdì sera. La prima impressione, parafrasando il direttore di Ovettokinder.it, è quella di un festival nato "già sbaraccato", decisamente understated rispetto al suo fratello maggiore. Ma è la prima sera della prima edizione, diamogli tempo.



[Disclaimer: Me lo segno goes gonzo]

Non ho nessuna voglia di fare una telecronaca in differita di ciò che è stato il festival – ne sono già piene tutte le webzine musicali esistenti –, e neanche una lista senza senso di inside jokes che non capirebbe nessuno. Odio le classifiche. La musica non si misura in voti o posizioni, ma in pelle d'oca. 

Sono partita per il No Direction Home reduce da un periodo che non saprei neanche come definire. La mia più grande aspettativa, per questi tre giorni, era di trovare qualcosa che cancellasse totalmente dalla mia testa tutto quello che vi era forzatamente entrato nei primi 6 mesi di questo 2012 e che stava consumando anche gli ultimi, flebili strascichi dell'onda lunga della positività berlinese. Ci era riuscito in pieno, l'anno scorso, l'End of The Road – ok, era vincere facile, tornata da meno due mesi e con ancora in mano lo scettro di Master of the Universe –, ci è riuscita molto meno questa prima esperienza nella foresta di Sherwood.

È per questo mio attuale non saper dove collocarmi che ho portato come un trofeo per 3 giorni consecutivi un paio di scarpe che non avrei mai pensato di aver il coraggio non solo di indossare, ma neanche lontanamente provare (e che guardo bramosa da quando sono tornata, maledicendo il poco adatto sole estivo) – insomma, c'è chi scappa a Laurel Canyon a imbottirsi di funghi allucinogeni (ma di lui parleremo dopo), io alla fine ho solo comprato un paio di stivaletti leopardati.


Ma si sa, il tempo cura le ferite, e anche la distanza trascorsa dal ritorno in patria aiuta a vedere le cose con un po' più di distacco.
Comunque.

Miei eroi personale di questo primo No Direction Home, senza dubbio, i Moon Duo, accolti all 22.30 del sabato sera. Volevo qualcosa che mi facesse perdere? Eccomi accontentata. Psichedelia per impallinati. Un'ora in trance, senza tirare fiato. Luci completamente spente, in due sul palco, illuminati in controluce dalle lampade di proiettori che sparavano sul soffitto dell'Electric Dustbowl patterns grafici ipnotici spezzati solo dalle loro silhouette. Senza contare che erano già uno dei miei unici due nomi evidenziati come imperdibili in tutto il programma.
Risultato del set? Uno che mi domanda "Ma coma fai ad ascoltare questa roba senza drogarti?", e una noia mortale al concerto successivo, tale da abbandonare il campo prima della fine. Era Andrew Bird.

Secondo imperdibile, il mio amore del momento, atteso fino alle 17.30 della domenica: Father John Misty. Voce, chitarra, e presenza scenica. A voler essere obiettivi fino alla pedanteria, il suo non è stato un set per cui stracciarsi le vesti. O almeno, non strettamente per la musica. Ma Josh Tillman ne sa, e ce lo dimostra anche quando c'è da firmare dediche e autografi.


Bella sorpresa Cold Specks. Pur non avendolo esattamente consumato, I Predict a Graceful Expulsion aveva lasciato una certa curiosità di sentirlo reso live. La collocazione decisamente (e immeritatamente) anti-meridiana e il sole ci fanno godere il set sdraiati sull'erba. Al Spx, inoltre, ci offre la certezza che conditio sine qua non per firmare con la Mute sia saper fare del grande entertainment, oltre che buona musica, quindi, dopo averci offerto la sua versione della sigla originale di "Willy il Principe di Bel Air", non perde l'occasione di omaggiare il maestro Josh T Pearson, declamando "What's the definition of trust? A cannibal giving another cannibal a blow job".

Stessa rilassatezza al sole, e stessa sorpresa positiva, anche per Euros Childs, che, probabilmente condividendo con me e Tillman il trauma da proprio nome di battesimo, trascorre ogni intervallo tra un pezzo e l'altro a ricordare che non è una band, ma si chiama proprio così. Un grande.

Grandissimo anche Richard Hawley, portato on stage su una sedia a rotelle da suo figlio, dopo essersi rotto la gamba sinistra al Primavera – "The last thing the wife said to me before I went to Barcelona was 'Break a leg'... she who must be obeyed!". Set di grandi riflessioni filosofiche, per la sottoscritta, il suo. Oltre a fornirmi la dimostrazione evidente dell'avanzare della mia età (che mi fa lungamente preferire lui al nonsense da college di Mikal Cronin), oltre a regalarmi il ritratto in carne ed ossa di Alex Turner tra 20 anni, oltre a offrirmi la possibilità di sentirmi veramente una privilegiata che segue il concerto comodamente seduta nel pit tra la transenna e il palco (sì, l'età, e il pass stampa), Hawley mi costringe arrendermi all'idea che la sua collocazione musicale in UK è esattamente quella di Vasco Rossi in Italia,  e lo fa suonando "Open Up Your Door" al tramonto, e con "The Streets Are Ours Tonight" come encore, mentre ormai, allontanata dal palco, guardo le lampadine tra gli alberi mosse dal vento, davanti al lago. Tempo di togliersi gli stivaletti leopardati. Non piove più, e, per me, il No Direction Home 2012 finisce qui.

BONUS TRACK:
Ero ragazzina, amavo alla follia Jeff Buckley, e avevo un ragazzo che adorava Inger Lorre. Lei per me rimane uno degli incubi peggiori di quel periodo. Perché, allora, evitare di farmi abbruttire, quando a ogni cambio palco si può mandare a tutto volume questa fantastica cover?

10 giugno, 2012

Live from No Direction Home

Ultimo giorno al No Direction Home, mattinata di ricarica telefoni, piccolo spoiler di cosa e' stato e cosa sara'.

Come vedono loro il festival:



Come lo vediamo noi:




30 maggio, 2012

Segnaletica #4: Heroin in Tahiti

La mia sbandata psichedelica ha trovato soddisfazione anche nella trasferta romana dell'ultima settimana. Loro hanno suonato sotto il nostro fantastico padiglione a Roma Contemporary, sono originari dell'Urbe, e non sfigurerebbero minimamente all'Austin Psych Fest.

13 maggio, 2012

Inspiral carpet #3: Bildungsroman


Sono cresciuta con il mito di Almost Famous - per una diciassettenne che del giornalismo musicale vorrebbe fare la propria vita, un film con protagonista un ragazzino assoldato da Rolling Stone per seguire una band in tour diventa una specie di feticcio pornografico.
Scrivere di musica è una vera e propria passione, una di quelle cose troppo grandi per essere fatte a cuor leggero.

Qui, purtroppo, ciò che nel sistema anglosassone - anzi, più strettamente, Statunitense - passa sotto il nome di "Rock'n'Roll Literature" non esiste; là, invece, è considerato un vero e proprio genere letterario. Comunque lo si voglia chiamare, si tratta di qualcosa che va oltre il giornalismo o la critica, oltre l'asetticità della saggistica, oltre le riviste specializzate. È scrivere non-fiction mettendo se stessi a disposizione di una cosa creata da qualcun altro, in modo assai più viscerale di quanto non possa accadere con le arti visive, almeno per quanto mi riguarda.

Nel mio empireo personale del genere, Lester Bangs e Greil Marcus occupano senza dubbio il posto più vicino a Dio. Personalità e approcci opposti (tanto rock'n'roll il primo, quanto intellettuale il secondo), che quando si incontrano riescono a dare forma ai sogni di ogni Rock Writer.

Magra consolazione dell'essere al mondo quarant'anni dopo l'epoca desiderata è, se non altro, una palese facilità nel reperire i testi.
Stranded, curato da Greil Marcus nel 1978, in Italia, ahimè, non è mai uscito, ma prolifica su Amazon.com. È proprio al suo interno che comparve per la prima volta uno dei pezzi fondamentali della Rock'n'Roll Literature, quel lungo omaggio che Lester Bangs dedica a Astral Weeks di Van Morrison diventato ormai storia.
Marcus inserirà lo scritto anche in Psychotic Reactions and Carburetor Dung, prima antologia degli scritti Bangsiani, ormai fuori catalogo nell'edizione originale (inutile cercarlo sul già citato sito, l'ultima copia disponibile era quella che vedete nella foto!), ma vivo e vegeto nella versione italiana uscita per Minimum Fax, Guida ragionevole al frastuono più atroce - ah, se solo non avesse quella prefazione di Wu Ming 1...

07 maggio, 2012

Segnaletica #3: Norwegian Black Wood

Uno dei miei gruppi preferiti del momento, per rilassarsi durante Coachella, interpreta una delle mie canzoni preferite di sempre.

The Black Angels "Norwegian Wood" - Beatles cover

03 maggio, 2012

Back to the Future

[Disclaimer: nonostante ci siano tutti i presupposti per pensare il contrario, questo blog non riceve fondi né sponsorizzazioni dalla Bella Union - ciò, comunque, non vuol significare che la scrivente rifiuterebbe pacchi dono dalla menzionata etichetta, che, a conti fatti, non sbaglia un'uscita.]

Uno dei miei dischi preferiti di sempre è Tapestry, un capolavoro scritto da Carole King, uscito nel 1971, il cui unico difetto è quello di contenere uno dei grandi classici da talent show, "(You Make Me Feel Like) A Natural Woman", l'originale comunque quanto di più lontano ci possa essere dagli urletti di Aretha Franklin che tutte cercano di imitare.
Tanto per capirci:



La scrittura di "A Natural Woman", però, risale al 1967, anno in cui comincia la nostra storia - il fatto che, nella versione di Tapestry, il backing vocal sia di Joni Mitchell, infatti, non è per nulla casuale.

È intorno a quell'anno che Laurel Canyon, un distretto nelle colline di Hollywood, comincia a popolarsi di artisti e musicisti, tra cui la stessa Carole King, ai tempi compagna di James Taylor, o la già citata Joni Mitchell, la cui casa è così descritta dal fidanzato Graham Nash:



In poco tempo, Laurel Canyon divenne il punto di riferimento per tutta la scena hippie-folk di fine anni Sessanta, per spegnersi, insieme al movimento di cui era emblema, pochi anni dopo.

A quarant'anni di distanza, far rifiorire il Laurel Canyon sound è la missione di Jonathan Wilson, trentasettenne del North Carolina, capelli lunghi e sguardo schivo, che proprio sulla collina hollywoodiana ha trovato la sua dimensione.
Dopo aver passato anni al di là del vetro nei suoi studi di registrazione - leggenda vuole siano gli ultimi rimasti interamente e solamente dotati di attrezzatura analogica - finalmente, nel 2011 è uscito con il suo primo disco ufficiale, Gentle Spirit, senza dubbio uni dei migliori titoli dello scorso anno. Psichedelia, folk, spirito hippie, dietro gli occhi più timidi che ci si possa aspettare da un uomo dall'apparenza tutt'altro che gentile.

Ieri sera, Jonathan Wilson ha suonato un mini-set negli studi di KEXP a Seattle. Un po' complicato da ascoltare on-demand, ok, ma per ingannare l'attesa tra il download e l'avvio della registrazione, ecco un piccolo esempio di cosa potrete ascoltare:






BONUS TRACK:
Tutti i cerchi si chiudono, e questo non vedo perché debba essere un'eccezione. Seguendo la programmazione e l'orario italiani, subito prima dell'inizio del set radiofonico di Jonathan Wilson, RAI5 ha trasmesso la puntata del Late Show di David Letterman la cui chiusura era affidata all'esibizione di Father John Misty. Vuole il destino, che a registrare e produrre Fear Fun, il neonato disco dell'ex Fleet Foxes, sia stato proprio Wilson. Per quale etichetta sia uscito, che ve lo dico a fare?



UPDATE:
[06.05.2012] Si è saputo solo oggi della morte di Jom McCrary, il fotografo che ha scattato la foto di copertina di Tapestry nella casa di Carole King a Laurel Canyon. La storia dello scatto è raccontata nel suo obituary sul LA Times.

01 maggio, 2012

God is a DJ

John Robert Parker Ravenscroft non sembrerebbe proprio il nome più adatto per tentare la carriera da speaker radiofonico; men che meno se a portarlo è un emigrato britannico che si presenta a un'emittente privata a Dallas, TX, nel 1965.
Ma si sa, l'apparenza inganna: dietro questa storia improbabile, infatti, si nasconde l'inizio della carriera nientemeno che di John Peel.
Una carriera che vedrà la sua fine solo nel 2004 quando Peel, sessantacinquenne, fu colpito improvvisamente da un infarto durante una vacanza in Messico. Quasi quarant'anni dietro un microfono davanti a un vetro, di cui trentasette passati negli studi di BBC1. Trentasette anni in cui lo Scouser ha contribuito a formare la storia della musica britannica, registrando più di 4000 live sessions radiofoniche con più di 2000 artisti diversi - cose di questo genere:









Alla sua morte, John Peel aveva a sua disposizione una raccolta di 65mila dischi in vinile, di cui 40mila singoli, meticolosamente schedata.
Da oggi, grazie al John Peel Centre for Creative Arts, tutto questo archivio sarà digitalizzato e reso disponibile online, su thespace.org: non solo copertine, tracklisting e libretti dei dischi, ma anche annotazioni, schede e valutazioni compilate da Peel stesso, oltre a materiale disponibile gratuitamente in streaming - tra cui 30 ore di home video girati dal DJ, inediti, scoperti nello studio della sua casa nel Suffolk.

I primi 2600 titoli appariranno nei prossimi sei mesi, 100 alla settimana, annunciati su twitter - quindi, followate immediatamente @johnpeelarchive.

UPDATE:
Il record 0001 dell'archivio è appena comparso: in ordine rigorosamente alfabetico, si tratta di un disco di Mike Absalom, Save the Last Gherkin for Me!, ed è interamente in streaming qui sotto. Enjoy!

29 aprile, 2012

Ultimo Frammento


E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos'è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.
(Raymond Carver)

21 aprile, 2012

Austinites

Forse non tutti sanno che...
Pozzi di petrolio, line dance e campagne antiabortiste a parte, Austin (Texas) è una delle capitali incontrastate della psichedelia.
Tutto iniziò negli anni Sessanta, con il genio indiscusso di Roky Erickson e i suoi 13th Floor Elevators, che, narra la leggenda, siano stati i primi a definire il proprio sound con la parola tanto cara ad Aldous Huxley per spiegare tutto ciò che "libera la mente da condizionamenti".
Persone che nel 1966 suonavano così, insomma:


[per completezza filologica, Erickson, classe 1947, scrisse tutto ciò a 18 anni]

Quarant'anni più tardi, lo scettro è passato, senza soluzione di continuità, a un altro quintetto di giovincelli, chiamati Black Angels.
Persone che, nel 2012, fanno dei live con un suonatore di sitar e degli sfondi di questo genere:

[photo by  - ]

Nonostante il loro ultimo lavoro, Phosphene Dreams, sia datato 2010, lo scorso mercoledì è comparso su youtube, nel neonato canale della band, il primo video ufficiale mai uscito per un loro brano.
Si tratta di "Entrance Song", e, come fanno loro stessi notare, il video è 'not safe for work' - quindi, se siete in ufficio, chiudevi in bagno, e schiacciate play.




{Tutto questo perché, sconfitta nella mia ricerca di Smugglers Way in questo Record Store Day milanese, come premio di consolazione, ho vinto questo fantastico oggetto:


19 aprile, 2012

Passano gli anni, ma 21 son lunghi, e quei ragazzi ne han fatta di strada

Sono passate solo poche dal prima avvistamento di un hashtag sibillino sulla pagina Facebook dei Blur: #blur21 (no, non mi sto confondendo, proprio un hashtag, e proprio su Facebook).
Il significato è stato presto svelato: sono passati 21 anni dalla pubblicazione di Leisure (Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!).

Per festeggiare l'insolito giubileo, un regalo annunciato da tempo e britannicamente arrivato alla scoccare della mezzanotte del d-day; che però, non nascondo, al momento mi lascia alquanto insoddisfatta - sarà che ho aspettato sveglia di scoprire cosa fosse.

Un video. Un minuto e 55 di immagini di repertorio, che avrei potuto tranquillamente comporre con tutto il materiale che ho raccolto sulla band negli anni della mia (eterna) adolescenza.
'Lovingly compiled by Blur just for you… A treasure trove of Blur material, beautifully packaged in one box. It's been over a year in the making and team Blur are very proud of it.', ci informano dalla regia.


E allora, per voi, #blur21




Ps. La sorpresa c'è. Alla fine.

UPDATE - THE MORNING AFTER:
It's over. L'ha detto chiaramente Damon Albarn qui. E un box set dei 21 anni non ha nessun senso, se non quello di mettere un grande punto. Full stop. I knew it would end this way.

08 aprile, 2012

Inspiral Carpet #2: Gioielli di famiglia

Pasqua, pranzo in famiglia, e pomeriggio passato a spulciare tra i dischi dei miei.
Per ora, l'esplorazione si è limitata ai 45 giri.
Non male, comunque, direi.

03 aprile, 2012

Diaspora

Se sei minimamente barbuto e fai parte di una band di culto, anche se un po' in secondo piano, ci sono buone possibilità che qualsiasi cosa tu decida di fare da solista venga pubblicato.
Se sei minimamente barbuto, fai parte di una band di culto (nonostante nessuno sappia il tuo nome perché magari ti fanno suonare solo le maracas) e sei anche un discreto musicista, del tutto sprecato alle maracas, stai sicuro che la casa discografica della tua band farà uscire qualsiasi cosa tu decida di incidere, anche da solo.

Sta succedendo in casa Bella Union, che nel giro di un mese si troverà ad accogliere due creature nate fuori dal matrimonio Fleet Foxes.

È uscito da qualche giorno, infatti, Illusions, primo EP dei Poor Moon, capitanati da Christian Wargo e Casey Wescott. Musica da cameretta, nata nelle serate passate in tour con le Volpi, e rimbalzata da una parte all'altra degli Stati Uniti per permettere ai Fratelli Murray (altra metà della band) di aggiungere il proprio tocco.
Cinque pezzi, che raggiungono il proprio apice con questa "People on Her Mind".



Transfugans a tempo indeterminato è, invece, J. Tillman. Dimissionario dalla batteria dei Fleet Foxes, dopo 7 album pubblicati a suo nome, è ora impegnato full time nel progetto Father John Misty, la cui prima fatica, Fear Fun, in uscita 27 aprile, avrà - per sua stessa ammissione - la missione di dimostrare che anche il folk ha un lato sexy. Attenzione agli ormoni, che è primavera, e proprio da oggi ce ne è concesso un piccolo assaggio.



BONUS TRACK:

Sarebbe stato troppo semplice scegliere la canzone migliore dei Fleet Foxes e partire con l'amarcord.
Quindi, per voi, ecco il mio 'Non vogliamo ricordarli così', ovvero, il pezzo peggiore della loro produzione, quello per cui vale davvero la pena mollare tutto e intraprendere la carriera solista: "Mykonos"

21 marzo, 2012

Inspiral Carpet #1: Sub Pop Pack

[Nota: con questo post apre una nuova rubrica, "Inspiral Carpet". Il tappeto che ho in salotto l'ha comprato mio padre in Iraq, dove è stato pochi giorni dopo che io nascessi. È la cosa che mi fa sentire più a casa, e anche la superficie su cui sono solita fotografare tutto ciò di cui entro in possesso degno di essere ricordato]

Succede una volta nella vita. A qualcuno con il Gratta e Vinci, a qualcuno da Gerry Scotti, a qualcun altro a Palazzo Grazioli.
A me è successo su Twitter, con la Sub Pop. Ho vinto. Un paccone di 12 CD, avanzati dall'anno scorso, di cui non sapevano come sbarazzarsi, è appena atterrato a casa mia.

Vincono a mani basse, nella pesca di beneficenza, Daniel Martin Moore e Terminal Sales vol. 4 (oltre ad alcuni stickers degli Shearwater)


Insieme a loro, Male Bonding, Twilight Singers, Dum Dum Girls, Happy Birthday, Wolf Parade, Memory House. E qualche illustre sconosciuto.

BONUS TRACK:

Per festeggiare, un grande classico, nella mia versione preferita, quella del vincitore del Premio Paccone 2012.


14 marzo, 2012

Tamer Visions

Quando ho incontrato Jesse Tabish, prima del debutto italiano degli Other Lives al Tunnel di Milano, abbiamo parlato anche di cinema.
Mi ha raccontato che la cosa che maggiormente avrebbe voluto sarebbe stato riuscire a creare un'opera totale e sinestetica, in cui musica e visioni riuscissero a completarsi come nelle collaborazioni tra Godfrey Reggio e Philip Glass, nelle pellicole di Stanley Kubrick o anche, più recentemente, come in "The Tree of Life".
Dopo aver visto questo video, appena uscito, realizzato per la piattaforma di Minneapolis "City of Music", credo proprio che il desiderio del leader della band di Stillwater sia stato magistralmente esaudito.

09 marzo, 2012

Mama, I wanna go viral

I Walkmen sono bravi, ma, soprattutto, molto sottovalutati (specialmente in Italia).
Si sa, non di sola arte vive l'uomo, e qualche volta il marketing serve più di mille Do di petto. Per questo motivo, Hamilton Leithauser (che con questo nome e quell'aspetto, secondo me, potrebbe comunque fare quello che vuole) ha deciso di prestare la sua magnifica voce possente a una delle operazioni più paracule della storia della musica.

Annunciato con un disclaimer da manuale - perchè 'abbiamo deciso di condividere l'imbarazzante registrazione di uno scoppio spontaneo di frustrazione capitato durante le rigorose sessioni di registrazione' è veramente da Pulitzer - l'allegro quintetto ha deciso di postare come teaser per il nuovo disco ('Prontissimo', come giustamente ci informano) sul proprio blog e su Facebook questo simpatico medley di canzoni degli U2.

Sono sicurissima che sia del tutto casuale, e che ben poco c'entri il numero di ricerche giornaliere che la massa fa di Bono e soci al giorno su Google - di fare pubblicità gratis al disco in uscita non ce n'è proprio bisogno, del resto.

Comunque sia, Re Mida Leithauser è da ascoltare anche stavolta. Io, ovviamente, non posso che cascare nel loro tranello, e divulgare a mia volta.

UPDATE:
Il video non è disponibile per l'embedding, e neanche le mie doti da Anonymous sono bastate a farlo comparire qua sotto. Si sa, per andare viral, anche il contatore di "Mi piace" su Facebook ha il suo perché. Quindi, accontentatevi dei link.

04 marzo, 2012

Giurami che rimarremo sempre giovani

I Triangolo li conosco da un po'. Sono tre ragazzi di Luino, con un'insana passione per gli anni Sessanta, e un talento raro per il songwriting.
Il loro disco è quanto, da un po', mancava nel panorama italiano: belle canzoni, tutti potenziali inni generazionali, nate dalla voglia di divertirsi, senza il complesso da primi della classe, piuttosto, con la voglia di mollare tutto e andare al mare; musica seria, non seriosa, un po' come Einstein con la lingua di fuori.
Per ascoltare Tutte le canzoni bisognerà aspettare fino al 6 aprile. Nel frattempo, per capire, basta un giuramento.

 

BONUS TRACK:

Dovrebbe essere il contrario, prima il teaser, e poi un brano come bonus. Invece no.

27 febbraio, 2012

Segnaletica #2: Bon Iver, "Towers"

Justin, è inutile che ci provi, la capanna non esisteva e nel Wisconsin non c'è il mare, lo sappiamo tutti. (Nuovo video per Bon Iver, appena sfornato, al profumo di Grammys)


Bon Iver - Towers (Official Music Video) from Bon Iver on Vimeo.

(Dal minuto 3:15 è una delle più belle interpretazioni dell'"Isola dei Morti" di Böcklin mai vista.)

Segnaletica #1: The Magnetic Fields, "Andrew in Drag"

Un omone con la barba ci racconta chi è l'unico ragazzo con cui andrebbe a letto, e perché. In due versioni.

The Magnetic Fields "Andrew in Drag" - official video




The Magnetic Fields "Andrew in Drag"(Best Fit Sessions)




(Da oggi, "Love at the Bottom of the Sea", il nuovo disco dei Magnetic Fields, è in streaming gratuito su NPR)

26 febbraio, 2012

Cambio vita, mi lavo.

La notizia è di qualche giorno fa: Robin Pecknold è stato lasciato. Ma procediamo con ordine.

gcmorvern:
'Being left for someone else is tough'. Sacrosanta verità, apparsa in un laconico tweet lanciato da Robin Pecknold, quasi immediatamente cancellato. Al suo posto, un’altra triste perla di saggezza in 140 caratteri: 'Don’t start a band. Just find someone you love and show up for them.' - insomma, in casa Pecknold deve essere risuonato il terribile aut aut 'O la musica, o me'.
La situazione è chiara: il leader dei Fleet Foxes ha il cuore infranto. E per elaborare il lutto ha messo mano a microfono e chitarra. Il risultato è “Olivia, in a separate bed”.
La lista delle mie break-up songs preferite ha decisamente una new entry nella top 5.
A questo mio post su tumblr era linkata una canzone, apparsa su SoundCloud a opera dello stesso Pecknold: "Olivia, in a separate bed" voce e chitarra in cui chiedeva scusa per non esserci stato abbastanza per lei, probabilmente uno dei migliori esempi di self-help da innamorato ferito.
Con la stessa velocità con cui è comparsa, "Olivia..." è sparita, rimossa, cancellata dall'utente.

Al suo posto, però, su Instagram, è comparsa questa:



BONUS TRACKS:

Effettivamente, il giovine Pecknold ci aveva avvertiti.
Profezie autoavveranti chez Fleet Foxes:

Are you off somewhere reciting incantations?
"Sim Sala Bim!" on your tongue?
Carving off the hair of someone's young?

Remember when you had me cut your hair?
Call me 'Delilah? then, I don't care


ma anche

Someday I'll be like the man on the screen

UPDATE:
Grazie alla capacità piratesca dell'utente 2.0, Olivia esce da SoundCloud e rientra da YouTube.
A voi.


24 febbraio, 2012

Smugglers Way

Se qualcuno non sapesse già che la Domino e la Ribbon's sono due tra le etichette indie migliori in circolazione, ora c'è la loro prima fanzine a dimostrarlo.
Per chiunque si trovi in terra straniera il 21 Aprile, recuperare una copia di Smugglers Way è un imperativo morale.
smugglersway:
Smugglers Way is Domino and Ribbon’s first ever limited edition zine featuring FIVE individual, multi-colored flexi discs of EXCLUSIVE, UNRELEASED songs from Dirty Projectors, Real Estate, Cass McCombs, John Maus, and Villagers. Smugglers Way will be sold exclusively at indie retail for...

Procellariidae

Shearwater.
Piccolo ripasso: 1998, lo studente di geografia umana all'università di Austin (TX) Jonathan Meiburg una sera suona con la sua band insieme gli Okkervil River di Will Sheff. Colpo di fulmine, e a fine serata Meiburg diventa a tutti gli effetti un OR. Dalla coppia, dopo un paio di anni di frequentazione, nel 2000 nascono gli Shearwater, in cui le gerarchie sono invertite e il sound viaggia in contemporanea con le ricerce etnoantropologiche e ornitologiche del leader. Ma, si sa, l'amore è eterno finché dura, e nel 2011 Will e Jonathan divorziano reciprocamente dal gruppo dell'altro. Da allora, il disastro.
L'ultima catastrofe in ordine di tempo, è Animal Joy, di cui ho ampiamente parlato qui. Un pensiero, però, ha continuato ad arrovellare la mia mente: come sarà, reso dal vivo, questo tentativo di esplorazione della subcultura urbana del "Gallo Cedrone"? Basta chiedere, ed ecco che immediatamente le risposte arrivano, in forma di ospitata in radio (89.3 The Current, from Minnesota, per la precisione)

La questione è semplicissima: ciò che tamarro fu creato ("Dread Sovereign"), tamarro resta; ciò che aveva un lontano sentore di Shearwater dei bei tempi andati ("You As You Were") non può che far aumentare la nostalgia dell'aborigeno; ciò che rimane lì ("Breaking the Yearlings") continua a rimanere lì senza né arte né parte.
Ma c'è uno spiraglio di speranza. Ieri, su Facebook, Meiburg ha annunciato che per la data di Hudson (NY), sul palco con le procellariidae di Austin ci sarà il figliol prodigo Will Sheff. Coincidenza, succede proprio in concomitanza con la riedizione di Winged Life (uscito per Misra nel 2004), il disco più okkervilriveriano della carriera degli Shearwater.
Provare per credere: "My Good Deed" (la mia preferita)

BONUS TRACK:
Questo video, come raccontato nell'intervista a The Current, fra un po' sparirà su richiesta dell'American Museum of Natural History. Ma fin che resiste: "Breaking the Yearlings"

23 febbraio, 2012

"All the people, so many people"

È la settimana a più alto tasso di Blur credo dal 1995 - non che per me sia un problema, anzi.
Comunque, qualche genio a NME ha fatto un mash up tra "Parklife" e il discorso di ringraziamento di Damon Albarn al ritiro del Brit Award per l'Oustanding Contribution to Music (quello alla carriera, per intenderci).
guardianmusic:

This mash of Parklife and Damon’s BRITs speech is absolutely brilliant. CS
(via NME.com)