12 gennaio, 2013

Fantasmi verde pallido

Sono una da persona da prime volte, come ho già raccontato qui. Riesco a ricordarmi i primi incontri, i primi ascolti, i primi approcci di tutto ciò che ha in qualche modo segnato la mia vita. Credo sia il vantaggio di quel quarto di gamba in più che distingue la doppia X dall'XY.

La prima volta che ho sentito John Grant è stata all'End of the Road del 2011. Non conoscevo 'Queen of Denmark', ai tempi vivevo a Berlino, cercavo di svicolare dall'elettronica imperante ostinandomi sulle camicie di flanella, con gli amici rimasti in Italia che non mi passavano nulla, convinti che la capitale teutonica fosse, anche musicalmente, molto più di quello che si potesse trovare nell'italico stivale.

Per questo quando, a tarda sera, con un gran freddo, mi sono trovata sul fondo del Garden Stage davanti a un omone barbuto, con una voce incredibile e un synth improbabile, che cantava 'Chicken Bones', la prima cosa che ho chiesto è stata semplicemente "Ma è una cosa seria?" – "Serissima, ha registrato il disco con i Midlake come backing band", mi ha rassicurato l'unico amico rimasto lì con me, nonché il più autorevole in materia della compagine.

Quella sera, il set synth e voce dell'ex Czars mi ha lasciata non poco perplessa – perché cantare una cosa come 'Where Dreams Go To Die' o 'Marz' con un synth e non con un pianoforte? – ma, recuperato l'album, la serietà della cosa si è svelata in tutta la sua magnificenza cantautorale, dai rimandi a 'My Funny Valentine' all'amara ironia dei testi che raccontano una vita di non-accettazione.

End of the Road 2012. John Grant è di nuovo sul palco, nella giornata per il quindicesimo anno di attività della Bella Union. Stavolta, ha un pianoforte e, a un certo punto, on stage lo raggiungono proprio i Midlake. Suonano un pezzo nuovo, dall'album che Grant ha appena finito: è lui, La canzone, quella che ti aspetti da sempre e finalmente arriva.
A fine concerto, al meet and greet, quei due rari esempi di comunicatori che sono i miei compagni di festival, in un magistrale momento di totale e ingestibile imbarazzo, l'unica cosa che sono riusciti a dire al cantautore di Denver è stata che sì, quella era la strada giusta, non quella sentita l'anno precedente.

Quella canzone l'ho ritrovata stamattina, terza traccia di 'Pale Green Ghosts', QUEL nuovo album appena finito e non ancora uscito; come sempre, quando si parla di John Grant, l'album che mai ti saresti aspettato. La canzone perfetta è lì, in mezzo a dieci altri brani inspiegabili.
John Grant, che si presenta sul palco con un pianoforte e i Midlake, e poi ti piazza un album fatto solo di synth.

Come non amare una persona che quando riesce a fare una cosa così



poi esce con questo?

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